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zibaldone minimo

INTRODUZIONE AL LETTORE

Zibaldone, s.m. mescolanza di cose diverse; mucchio confuso di persone

Ennesimo tentativo. Forse l'ultimo, se il lettore che ora legge non sono io. Scrivere un diario non mi è mai riuscito, forse è un'esperienza vintage o addirittura antica, roba da ancien regime, ormai preclusa al mondo digitale costantemente interconnesso. I migliori diari in effetti arrivano fino all'avvento della televisione. Poi basta: forse perché con ritmi più frenetici il tempo per l'introspezione e la noia è sempre meno, forse perché invece siamo talmente bombardati di storie esperienze e informazioni, attraverso molti media, da non sentire più il bisogno di aggiungere la nostra. Banale, tutto sommato.

La noia, bisogna ricordarsi questo spunto per riprenderlo poi. Prendere nota.

Scrivere un romanzo mi rifiuto, eppure mi piace molto trasformare pensieri in parole. Mi rilassa molto più della meditazione o dello Xanax. Ma il romanzo è ormai un genere abusato e personalmente mi sono fermato ai grandi Russi del XIX secolo. Ci sarebbe il saggio, ma bisogna avere qualcosa da aggiungere alla biblioteca del mondo per cimentarsi nel genere. E non sono così presuntuoso.

Così ho pensato di scrivere un pochino tutti i giorni, stimolato dalle esperienze quotidiane e da riflessioni estemporanee. A casaccio, per poi riordinare, sviluppare e ripulire la casualità e scoprire se ne esce qualcosa di buono. Un esperimento di cui chi legge è una cavia.

Non so cosa troverete, lo scopriremo insieme. Quel che è certo è che non potrete abbandonarne la lettura prima della fine pensando di averne colto interamente il contenuto!

2 giugno

Sono le sei del mattino e mi preparo per una gita sulle montagne di casa. Rimpatriata con vecchi amici, una sgambata a un laghetto alpino come scusa per mangiare e bere in un rifugio. E fuga dall'afa padana che è arrivata prima del solito.

Ieri sera ho scorso un pò di dati di paleoclimatologia incuriosito da una scoperta fatta per caso un paio di anni fa visitando un sito archeologico sulla soglia dell'Adamello. Praticamente a una quota di circa 2000 metri sul livello del mare, su di un balcone naturale affacciato sulla Valle Camonica e il Lago d'Iseo, i nostri antenati avevano piazzato un villaggio siderurgico dove lavorare i metalli ferrosi della montagna. E fin qui niente di che. Questi operai e minatori ante litteram però campavano del pane e del grano che coltivavano proprio lì, alle quote dove oggi sciamo. Non solo, approfondendo ho saputo che nello stesso periodo, circa 2 mila prima di Cristo, il Lago d'Iseo era molto più alto e si allungava per parecchi chilometri su per la valle.

Così ho scoperto la paleoclimatologia e che, al netto del contributo delle attività umane, questo è già uno dei periodi intraglaciali più caldi della storia del pianeta. E anche che ai tempi del villaggio camuno la temperatura media era di circa quattro gradi più alta rispetto ad oggi, con l'Artico probabilmente navigabile in estate, e ancora che ai tempi di Socrate, Cicerone e degli imperatori romani lo era di almeno due. Esattamente quanto l'accordo di Parigi per il clima dovrebbe scongiurare per il prossimo futuro.

3 giugno

Oswal Spengler quando ha scritto Il tramonto dell'Occidente ipotizzava non la fine della civilizzazione europea, ma l'esaurimento della propria fase creativa. In effetti a un secolo di distanza pare non avesse proprio torto.

Immaginava anche che con l'esaurirsi della spinta della civiltà europea sarebbero nate nuove esperienze, come già accaduto per la Cina, l'Egitto, l'India e la Grecia classica. Ad esempio vedeva un vuoto nella Storia nell'area slava e russa. La cultura americana non era per lui una nuova civiltà ma semplicemente la prosecuzione stanca, civilizzazione secondo la traduzione di Evola, della civiltà euro-occidentale. Come i romani stavano ai greci nella sua visione.

Difficile fare previsioni perché conosciamo troppo poco la cultura cinese e indiana dalla parte di Greenwich per capire se stia nascendo una cultura nuova. Certo è che la dimensione europea non è definitiva e ancora una volta chi aveva scommesso su una fine della Storia, come un processo finalizzato da Hegel in poi, ha sbagliato. 

In Europa oggi così sopravvivono gli zombie: gli stati nazionali sono morenti ma decidono ancora, in maniera confusa, le sorti dell'impero continentale europeo. Il Regno Unito, da più grande impero oggi rischia di non essere più neppure un regno unito. La politica delle ideologie è finita ma le sopravvivono i partiti nati da quelle idealità. Non si capisce cosa li divide, cosa li unisce e dove vorrebbero portarci, ma sono ancora lì. Una nuova aristocrazia che si contende il potere con ogni mezzo alla corte del sovrano, la sovranità popolare indivisibile e incomprensibile, salvo ai sondaggisti, di Montesquieu. Così il pluralismo è mediato alla scelta tra due squadre come nel mondo anglosassone o alla scelta delle maglie, come la nuova legge elettorale italiana in discussione. Tanto poi i giocatori li mettono in campo i partiti moribondi e i loro leader che non hanno mai avuto tanto potere quanto ora. Con i risultati che vediamo!

4 giugno

Il dibattito scatenato dall'obbligo di vaccinazione in età scolare mi ha portato a una riflessione. No, non voglio aggiungere altre parole inutili in un dibattito surreale sull'opportunità o meno dei vaccini. E neppure su oscure trame delle industri farmaceutiche contro la nostra salute.

Il convitato di pietra in tutta questa canea mediatica è la morte. Si parla di vaccini come se si trattasse di scelte soggettive: oggi mi vesto casual, preferisco la vacanza in montagna, le patatine del Burger King sono più buone, sono vegano, Dio esiste e il Corano è il testo rivelato, sono gay. Invece quando si parla di vaccinazioni sono in ballo la vita e la morte. La domanda allora dovrebbe essere, vuoi vivere o morire?

Ma la nostra società ha espulso la morte dal suo orizzonte, non se ne parla. E quando se ne parla la si esorcizza, con una cerimonia o una festa. Oppure la si mostra, dura e cruda, come in un film di Tarantino. Così da banalizzarla, da farla diventare un evento sfortunato che capita al vicino ma non a noi, cui comunque partecipiamo da social influencer con un like e la faccina che piange, oppure lontano, molto molto lontano, tanto da non appartiene alla nostra vita ma al National Geographic.

Ci stanno pensando gli islamisti a cambiare questa costruzione di fantasia, ma per altri versi molto spiacevoli. Non divaghiamo oltre e restiamo ai vaccini, questo sarà un altro discorso da affrontare.

Le vaccinazioni sono state introdotte nella pratica medica per ridurre la mortalità. Concetto astratto che si traduce in: muoiono meno bambini o, meglio ancora, più bambini raggiungono l'età adulta. Quindi vaccini insieme ad igiene ed alimentazione hanno evitato una strage di innocenti. Ma... c'è un ma. Le medicine, come tutte le creazioni umane, non sono efficaci sempre e comunque, non sono né perfette né divine. Talvolta, addirittura, in determinate condizioni possono fare più male che bene. È un rischio calcolato, in uno su un milione e anzi meno, ma è un rischio.

Ecco un altro aspetto della vita umana espulso dal consesso della vita civile. Il rischio è esorcizzato: dall'assicurazione, dalla pensione, dall'airbag, dal salvavita... un rischio definitivo non è contemplato, la casualità non può appartenere alla vita dell'uomo moderno. È un suo diritto!

Invece mi vaccino e muoro. Succede, forse uno su un miliardo. È veramente disdicevole. Maledetta morte, esiste ancora. Casuale, non importa se sono un buon cristiano, mangio vegano e seguo stili di vita sanissimi. Crepo lo stesso. Ma l'altro miliardo che invece mi sopravviverà e avrà una vita più lunga attraverso cui fare tantissime cose per sé e si spera per gli altri? Non conta, conto solo io e i miei diritti (presunti) sulla vita e quindi ridicolmente sulla morte.

6 giugno

Ho già saltato un giorno. Pazienza, il mondo sopravviverà anche a questa tragedia.

In tutti i sistemi politici democratici, basati cioè su un'ampia condivisione del potere politico attivo e passivo, i partiti politici, salvo esiti autoritari, sono di prassi sottoposti a severe regole sul finanziamento. Per evitare posizioni dominanti, lasciare il potere contendibile ed evitare degenerazioni esagerate della vita pubblica. Leggasi corruzione.

È un principio pacifico, neutro e condiviso almeno nel mondo Occidentale, con più o meno rigore. Se questa logica è ormai acquisita nella cultura di questi paesi, allora non si capisce perché non sottoporre i culti, in particolare quelli politici come l'Islam, alle stesse regole. Vale per tutte le confessioni, ma in particolare per i seguaci di Maometto. Perché nella loro cosmogomonia non esiste la distinzione tra sfera laica e religiosa e perché le petromonarchie mediorientali finanziano i centri di culto secondo logiche settarie, tribali e di geopolitica per promuovere il proprio modello o colpire il loro nemico vicino. Quasi sempre un correligionario.

Il terrorismo islamista in Europa si annida nelle moschee e nella predicazione. Con i mediorientali abbiamo portato il Medio Oriente nel Vecchio Continente, con tutte le conseguenze in termini di violenza, tensioni e contrapposizioni che da decenni ormai siamo abituati a vedere nei telegiornali.

Non c'è nulla da inventare: in Israele c'è una grande comunità di europei, incidentalmente ebrei, che da decenni sperimenta la convivenza con la cultura araba. Se vogliamo sapere come sarà il nostro prossimo futuro basta andare in Israele. Se vogliamo che il nostro futuro non sia così basta comunque andare in Israele e farsi spiegare come evitarlo. Finché siamo in tempo.



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