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Simone Moro e il Nanga Parbat



Siamo distratti; distratti da un bombardamento di notizie, fatti, contatti, idee, chiacchiere, pettegolezzi, sensazioni ed emozioni. Tutti i giorni, tutto il giorno: rapiti da una corrente più forte di noi. Poi in mezzo a questo fiume in piena leggi quasi per caso la notizia che uno che vive vicino a te, uno che è quasi della tua generazione per giunta, ha scalato per primo una delle poche inviolate vette invernali del Tetto del Mondo, senza ossigeno e portatori.

E per forza ti fermi. Per riflettere almeno un secondo, sul suo gesto eroico, nel senso dell’antichità classica, sulla fatica, il dolore, la difficoltà, la determinazione che è stata necessaria a Simone Moro per godere della vista dall’alto verso il basso, su tutti noi. Sulla soddisfazione, sul primato, sul senso della storia che avrà provato lui solo nell’istante in cui avrà capito che ormai ci era riuscito, che ancora pochi passi e il calvario sarebbe finito. Che una vita spesa in preparazione e lavoro quotidiano acquisiva improvvisamente un senso, anche metafisico. In un istante tutto finiva chiaramente in una linea retta geometrica e progressiva, un tutto perfettamente ordinato e disposto solo e soltanto per arrivare in quel preciso momento, con il piede finalmente sulla vetta.

E allora il flusso di coscienza, quello della quotidianità apparentemente disordinata e convulsa, frenetica, si ferma davvero. Ritornano alla mente la scalata di Harrer sulla parete Nord dell’Eiger, le straordinarie cronache alpinistiche di Bonatti oppure semplicemente le diapositive della prima montagnetta vicino casa raggiunta (il Canto Alto?) del primo ghiacciaio attraversato oppure di quel rifugio dove hai passato una notte in compagnia di alpinisti veri, guardati con sospettosa ammirazione, sentendoti come uno di loro. Ma questa volta non è Messner, non è Harrer o Bonatti, non è sui libri o in un documentario: succede ora, succede ancora.

Così ti ricordi che anche oggi è ancora possibile superare un limite, nonostante il segnale del cellulare ti insegua fin sulla vetta dell’Arera. Allora la rete, globale e locale, non ha esaurito la nostra vita in un perenne presente contemporaneo di istanti sempre diversi ma alla fine tutti ugualmente dissociati tra loro. Non è vero che è tutto un continuum senza principio e fine, ma il tempo e lo spazio si piegano semplicemente alla nostra volontà se ne abbiamo la forza, fisica e morale.

Simone Moro in questa prospettiva è davvero un eroe, salito in vetta per portarci la conoscenza come Prometeo il fuoco, che con la forza del suo esempio, semplice, pratico, umile e molto bergamasco ci ricorda che impegnarsi tutti i giorni se animati da un bel sogno, una volontà di ferro e una coerenza incorruttibile è forse ancora l’unico modo per vivere una vita vera e piena. Non è retorica, ma è la testimonianza vivente e sotto gli occhi di tutti che la ricerca continua.

Scusate quello che è uno sfogo, ma questa abbastanza banale e inattesa riflessione ha riportato a galla il mio bisogno di scrivere e comunicare, a chi avrà tempo e voglia di leggere, perché tutti possiamo andare oltre quello che siamo diventati per sopravvivere e osare ad essere simili ai nostri desideri migliori, anche se la quotidianità pare dirci tutti i giorni il contrario. Per lo stesso motivo: grazie a Simone Moro e grazie a chi ora mi legge.

Le prime parole di Simone Moro intervistato da BergamoTV

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