Non sono trascorsi duecento anni dalla conquista del Monte Rosa, o meglio, della Punta Gniffetti raggiunta per la prima volta oggi nel 1842. Oggi vi sorge la capanna Regina Margherita, il più alto rifugio alpino d’Europa, a quota 4554 metri sul livello del mare.
Nel frattempo abbiamo conquistato i cieli, raggiunto lo spazio, messo piede sulla Luna e mandato sonde fino ai confini del nostro sistema solare. Ma solo verso la metà del XIX secolo il parroco di Alagna Valsesia, tra i primi appassionati alpinisti, aiutato da due portatori e da alcuni compaesani riusciva a raggiungere una delle montagne più maestose della catena alpina, al confine con la Svizzera.
Un’impresa estrema, tentata più volte dal parrocco e preparata con metodo, usando attrezzature che oggi farebbero sorridere il più scarso degli escursionisti della domenica. Un pioniere con l’abito talare, qualcosa che oggi non si potrebbe neanche concepire legati come siamo a una professionalizzazione del lavoro e della società, secondo il motto: ofelè, fa el to mestè.
Per non parlare del rifugio costruito sulla vetta, inaugurato nel 1893 senza l’ausilio di elicotteri o mezzi meccanici. Costruita al piano, smontata e portata dal fondovalle al dorso di muli prima e a forza di spalle e braccia poi. Infine montata, la piccola capanna del CAI sopra i 4 mila metri.
Girare il mondo è bello, sicuramente, e allarga gli orizzonti. Ma forse l’avventura, la frontiera e panorami mozzafiato possono essere nostri a pochi passi da casa, solo con un pò di fatica. Ecco la fatica, questa sconosciuta ormai segregata chissà dove dalla modernità, che dalla vetta del Monte Rosa potrebbe davvero allargarci gli orizzonti, su tutta la catena delle Alpi, la Pianura Padana e oltre...
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