Domenica scorsa leggevo sull'inserto de Il Sole 24 Ore una stroncatura dello scrittore, o meglio del personaggio mediatico, Mauro Corona.
In sostanza lo scribano spiegava a beneficio dei lettori confindustriali l'incoerenza di fondo di un uomo che canta la montagna e la marginalità di un mondo fatto come una volta marcando però la propria presenza su tutti i media, vecchi e nuovi.
L'assunto di fondo era sostanzialmente: predica pure un modo di vivere diverso da quello mainstream della società del consumo ma fallo nella tua malga, non ti azzardare insomma ad utilizzare gli strumenti di cui la società consumistica si è dotata, anche per consumare informazione.
Perché le alternative al pensiero unico sono pluralisticamente tollerate quando se ne stanno nel loro cantuccio, non se sfidano il brand dominante. Se possono essere una minaccia al monopolista di turno, quindi non solo una facciatà di libertà, vanno contestate, contrastate e schiacciate.
Non avevo ancora letto Mauro Corona, ma dopo una tale e strumentale stroncatura mi è salita la necessità di leggerlo, di conoscerlo. Avevo acquistato una sua breve raccolta di racconti in cui ho così trovato il seguente passaggio. Una poesia in prosa, una descrizione sintetica ed estatica degna di Ungaretti. La riporto, perché dopo averla letta ho deciso che leggerò l'intera bibliografia di Mauro Corona. Questa frase da sola ne giustifica l'intera lettura:
da "Venti racconti allegri e uno triste" di Mauro Corona, Milano, Mondadori, 2012....viveva pacifico e solenne nel suo portamento di grande larice piantato sul costone precario dei giorni...
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