Passa ai contenuti principali

COME L’IRLANDA E’ USCITA DALL’UNIONE… CON LA GRAN BRETAGNA!


1916-1921, cinque anni che cambiano le sorti di un’isola tanto alla periferia dell’impero quanto vicina al suo centro vitale. 
1921-1997, dall’Irlanda a Hong Kong le date che segnano la fine dell’Impero più grande conosciuto nella storia dell’umanità. Ecco come tutto ebbe inizio.

di Lucio Brignoli, pubblicato su Storia&Verità ottobre-dicembre 2016

L’Occidente non è tutto così occidentale come noi lo crediamo, o almeno non lo è sempre stato. In questo caso non lo è stato fino a pochi anni fa, se è vero come è vero che dalle parti dell’Ulster, le contee irlandesi rimaste sotto la corona inglese dopo il Trattato anglo-irlandese del 1921, si scannavano ancora quotidianamente tra cattolici e protestanti. Per la precisione tra irlandesi da una parte e scozzesi, inglesi e gallesi dall’altra. Le guerre di religione che in Europa erano terminate nel 1648 con la Pace di Westfalia, dopo la tanto sanguinosa quanto inutile Guerra dei Trent’anni, ed in Svizzera nel 1848 con la costituzione confederale, che aveva finalmente messo pace tra i cantoni di diverse confessioni religiose. Invece nel lembo più occidentale dell’Occidente europeo ancora non trovavano composizione fino alla fine del XX secolo. La geografia non è geometria, proprio no.

Oggi il Regno Unito, cioè quello che rimane dell’Impero britannico fino a quando riuscirà a trattenere con sé la Scozia, esce dall’Unione Europea. Allora, ai primi del Novecento, quando il piombo dei fucili ed il sangue dei soldati impregnava le trincee del fronte occidentale e le sterminate pianure del fronte orientale durante la Grande Guerra, in questo piccolo angolo di Occidente, ad ovest dell’Europa, le province irlandesi dell’Impero britannico cercavano, con le buone e con le cattive, di emanciparsi dal governo di Londra e del Re.

 

E ci sarebbero riuscite, dopo alterne vicende, alla fine del primo conflitto mondiale. A dimostrazione che la storia non si ripete affatto e non è un perfetto piano inclinato che porta in un’unica ineluttabile direzione. Anche in questo caso di geometria ce n’è poca, o meglio per niente. Infatti l’Irlanda esce dal Regno Unito nel 1921, per poi ritrovarsi di nuovo a fianco dei suoi arci-nemici in Europa nel 1973, dopo poco più di mezzo secolo. Provvisoriamente, comunque.

La nostra storia inizia a Dublino nella Pasqua del 1916, in occasione della rivolta che poi passò alla storia come Easter Rising. O meglio inizia il giorno prima, quando un vascello proveniente dalla Germania, in guerra contro il Regno Unito, e che avrebbe dovuto rifornire di armi i ribelli viene intercettato dalla Marina di Sua Maestà. Dei sudditi dell’Impero in combutta con gli Unni, come venivano chiamati i tedeschi dai tabloid inglesi durante la Grande Guerra, per guadagnare l’indipendenza irlandese e contemporaneamente indebolire l’esercito inglese impegnato dalle parti della Somme contro le armate del Kaiser. Il nemico del mio nemico è mio amico, molto semplice: lo stato maggiore tedesco sperava di sottrarre reclute all’esercito britannico - l’intervento statunitense era ancora di là da venire - ed i cospiratori irlandesi speravano di sottrarre se stessi e i loro compatrioti dalla coscrizione nello stesso esercito britannico mandato a morire in Francia.

La rivolta ha il suo caposaldo ovviamente nella capitale, Dublino, e nel grande edificio delle poste nel centro cittadino. Il primo prigioniero inglese catturato fu un soldato che improvvidamente entrò nell’edificio delle poste appena occupato dalla Fratellanza Irlandese, poche migliaia di idealisti messi insieme alla meglio, solo per comprare un singolo francobollo per scrivere a casa. Ironia della Storia! La rivolta dura pochi giorni, poco più di una settimana e alla fine l’esercito irlandese, circondato ed assediato, si arrende ai cannoni di Sua Maestà, che nel frattempo avevano spazzato e devastato il centro della città. La reazione è molto dura e i capi della rivolta vengono passati per le armi, fondando di fatto nel loro sangue, ed in quello dei molti martiri morti in seguito, quella che oggi conosciamo come Repubblica d’Irlanda.

E’ forse quello il punto di svolta della secolare storia delle lotte per l’indipendenza irlandese. Il generoso e velleitario sacrificio della classe dirigente repubblicana, tradotto in una dichiarazione di indipendenza letteralmente firmata con il loro sangue. Nessuno dei cospiratori sopravvissuti dopo il fallimento della sollevazione avrebbe immaginato che nel volgere di soli cinque anni un fiasco totale, sia dal punto di vista militare che della partecipazione popolare, sarebbe potuto diventare l’inizio della  riscossa, che di lì a breve avrebbe portato al Libero Stato d’Irlanda.

Lo celebra il poeta William Butler Yeats (1865-1939), repubblicano anch’esso, con un poesia scritta nel 1916, ma pubblicata solo dopo la tregua del 1921:

Basta sapere se sognarono e son morti;
che importa se fu un eccesso d'amore
a sconvolgerli fino alla morte?
Ecco, lo scrivo in versi -
Mac Donagh e Mac Bride
con Connolly e Pearse
ora e nei tempi che verranno,
in ogni luogo in cui si indossi il verde,
sono mutati, mutati interamente:
una terribile bellezza è nata.”

Una terribile bellezza nasce e a due uomini, sopra tutti, il compito di trasformarla in realtà e di fondare la Patria, Micheal Collins (1890-1922) ed Eamon De Valera (1885-1975). Due uomini che, in maniera diversa prima ed in contrapposizione dopo, hanno contribuito alla lotta di liberazione ed al consolidamento dello Stato d’Irlanda. De Valera, nato a New York, Presidente del Governo provvisorio irlandese durante la Guerra di Indipendenza tra il 1919 e il 1921, poi Presidente della Repubblica durante gli anni ’30, era stato acerrimo rivale di Micheal Collins e della nascita di uno Stato irlandese senza le sei contee dell’Ulster per giunta soggiogato, almeno formalmente, alla Corona inglese. Forse, secondo alcuni, persino il mandante, quantomeno morale, dell’assassinio dello stesso Micheal Collins nel pieno della guerra civile, scoppiata tra le fazioni irlandesi all’indomani dell’indipendenza.

 

Collins, da Cork, era invece il big fellow, artefice sia della durissima lotta insurrezionale combattuta tra il 1919 e il 1921, con metodi terroristici e di guerriglia, che della trattativa con Lloyd George (1863-1945) che porterà poi alla nascita di uno Stato irlandese, seppure menomato di Belfast, e non ancora Repubblica ma fedele membro del Commonwealth e dell’Impero britannico.

Per l’uomo contemporaneo simpatizzare per un terrorista pare aberrante, ma la nascita della Repubblica d’Irlanda si deve alle tattiche cruente di Micheal Collins, che per un biennio hanno seminato il terrore tra le file della polizia e dei soldati di stanza in Irlanda. Attentati, assassini e omicidi mirati, a cui l’Impero risponde con altrettanta durezza, coagulando il popolo irlandese intorno alla causa di chi li voleva diversi e divisi dai loro colonizzatori di sempre. Perché, bisogna precisarlo per inquadrare la durezza dello scontro, l’Irlanda era per la Corona poco più di una colonia fino all’inizio del XIX secolo, da dominare e da sfruttare. Con l’ingresso nel Regno di Gran Bretagna ed Irlanda, nel 1800, il peso politico e soprattutto l’importanza politica dei temi irlandesi acquisirono gradualmente spazio nella politica del parlamento di Westminster, fino a monopolizzare i dibattiti sulla Home Rule tra il 1875 e il 1914. La concessione della stessa Home Rule irlandese, una sorta di devoluzione di poteri a livello locale, approvata alla vigilia del conflitto mondiale, ma rinviata nell’attuazione al termine dello stesso anche per incentivare l’arruolamento prima e giustificare la coscrizione dopo, non fu risolutiva della contesa tra le due isole britanniche quando i sudditi irlandesi tornarono alle urne nel 1918.

Una colonia cui l’Impero lascia la propria lingua, che rimpiazza i dialetti gaelici poi recuperati dagli irredentisti, ma che ricambia la Madre Patria contribuendo, in maniera originale, alla cultura mondiale con figure del calibro di James Joyce (1882-1945) e del già citato William Butler Yeats. In maniera originale certo, perché di autori assolutamente originali stiamo parlando, come originale è tutta la storia di questa estrema isola d’Europa nell’Oceano Atlantico. Ai margini delle grandi correnti della Storia, una periferia insomma, ma integrata dalla lingua inglese appieno nel mondo moderno della Seconda Rivoluzione Industriale e nella cultura di un Impero, il più grande della storia dell’umanità.

Una periferia così non poteva che attirare l’attenzione. Quella degli americani, innanzitutto, talmente occidentali da sfiorare l’estremo oriente e molto sensibili al peso elettorale della comunità irlandese emigrata negli Stati Uniti e legati, soprattutto in quel periodo alla Dottrina del Presidente Woodrow Wilson (1856-1924) dell’autodeterminazione dei popoli, concepita come diretta conseguenza dello spirito della Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776. Stati Uniti che si affacciavano per la prima volta alle questioni europee, dopo aver praticato per lo più una politica estera continentale e pacifica. Nel senso dell’Oceano, non ingannatevi. Lo fanno con il peso determinante per spostare la bilancia nell’equilibrio di forza, determinatosi per 4 anni di sostanziale stallo tra le potenze europee nella Grande Guerra. Potenze che escono dissanguate dal conflitto, dal punto di vista materiale, economico e finanziario, e che si siedono ad un tavolo delle trattative dove il parvenue Wilson dà le carte.

Non certo carte buone per l’Europa, che si troverà venti anni dopo impegnata in un nuovo conflitto mondiale per risolvere gli stessi nodi lasciati aperti dalla prima Grande Guerra, ma di certo positive per l’Irlanda, che vede il suo diritto ad emanciparsi riconosciuto nei principi della Pace di Versailles, firmata nel 1919.
In questo stato di cose già nel 1921 il Governo inglese si convince, vista la situazione militarmente sempre più insostenibile dopo due anni di guerra, data l’ostilità crescente del popolo irlandese, che solidarizza in massa con gli insorti, e con la condanna internazionale sempre più forte che arriva soprattutto da Washington, a concedere quello che per quasi mezzo secolo era stato il tabù della politica britannica, l’elemento di discordia che aveva determinato la nascita e la morte di gabinetti e Primi Ministri: l’indipendenza dell’altra isola britannica, della ex-colonia irlandese ora parte della Corona inglese. Quasi una privazione personale e patrimoniale per Re Giorgio V (1865-1936).

La situazione precipita con le elezioni del 1918 che vedono il partito indipendentista irlandese, lo Sinn Fein, fare il pieno dei seggi disponibili. E dall’Aventino, rifiutandosi cioè di riconoscere Westminster, si convocano invece a Dublino per nominare un proprio Governo irlandese, con a capo il proprio leader De Valera, e costituire un proprio esercito, l’IRA. Da lì allo scoppio delle ostilità il passo è breve e la scintilla scoppia nella contea di Tipperary, quando un reparto dell’esercito irlandese uccide due poliziotti della Royal Irish Constabulary che si rifiutavano di consegnare armi agli insorti. Presto si uniscono i portuali dublinesi, che si rifiutano di scaricare i materiali militari provenienti dalla Gran Bretagna, seguiti poi dai ferrovieri che incrociano le braccia, rifiutandosi di spostare le truppe inglesi necessarie per mantenere il controllo.

In breve l’intera Irlanda è sconvolta, in particolare la regione di Cork, con omicidi e rappresaglie che si susseguono con un ritmo frenetico. Il Governo inglese organizza in fretta e furia una forza di spedizione leale all’Impero, i Black and Tans, attingendo ai reduci della Grande Guerra di origini inglese e scozzese. Pronti per essere spediti nell’isola per sostituire la polizia ormai piegata dalla defezioni, dalla paura e dall’odio dei propri compatrioti. La violenza nei confronti dei civili di questi reparti sarà tra gli elementi cruciali che spingeranno Re Giorgio V e il Governo di Lloyd George a chiudere una volta per tutte la partita, avviando la tregua e le trattative che porteranno, nel 1921, alla proclamazione del Libero Stato d’Irlanda e, nel 1922, alla Guerra Civile Irlandese.

Il bilancio della Guerra di Indipendenza è tragico da entrambe le parti, ma oltre alle vittime militari si stimano almeno duecento civili morti. Più di quanto la società britannica e quella delle Nazioni allora potesse tollerare.
Una sensibilità così diversa rispetto ad oggi, assuefatti alla violenza quotidiani del terrorismo islamista che miete quotidianamente decine di vittime civili in ogni angolo del mondo. Forse, nonostante il bagno di sangue della Grande Guerra o proprio per quello, poche centinaia di morti innocenti potevano fare la differenza nella contesa per la libertà e l’auto-determinazione tra un gigante che ancora controllava un intero sub-continente, l’India, ed una piccola isola, povera di tutto tranne che di coraggio o di lucida follia.

Chissà se gli inglesi ricorderanno questa pagina di storia lasciando l’Europa e chissà se la ricorderanno quando, a loro volta, gli scozzesi chiederanno nuovamente di lasciare gli inglesi. Con percorsi imperscrutabili, senza scomodare la provvidenza o le magnifiche sorti progressive, le intuizioni dei Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America e i voli pindarici di Woodrow Wilson vanno realizzandosi ed il principio di autodeterminazione dei popoli va diffondendosi nella comunità internazionale degli Stati, come strumento pacifico di risoluzione delle controversie. Negli ultimi secoli, e fino ad ora, l’Occidente ha inventato tutte le strategie che si sono dimostrate vincenti per l’umanità. Anche questa lo è?

Bibliografia:
Bobby Sands, Un giorno della mia vita, Milano, Feltrinelli, 2014.
Ulf Gudmunson, Lotta di liberazione in Irlanda: tra cronaca e storia, Milano, Jaca Book, 1971.
Georg Schimdt, La guerra dei Trent’anni, Bologno, Il Mulino, 2008.
Denis De Rougemont, La svizzera, storia di un popolo felice, Locarno, Dadò, 1998.
Margaret Macmillian, 1914, come si spense la luce sul mondo di ieri, Milano, Rizzoli, 2013.
Robert Kee, Un’eredità rischiosa, Milano, Bompiani, 2000.
Tim Pat Coogan, Micheal Collins, A biography, Londra, Head of Zeus, 2015.
Micheal Collins, Micheal Collins’ own story, Neuilly sur Seine, Ulan Press, 2012.
Micheal Collins, Path to Freedom: articles & speeches by Micheal Collins, Cork, Mercier Press, 2011.
Francesco Saverio Nitti, L’Europa senza pace, Firenze, goWare, 2014.

Post popolari in questo blog

il decalogo di Assago, parlare di Miglio avendolo letto...

Il Decalogo di Assago risale al 12 dicembre 1993 e fu scritto e presentato dal professor Gianfranco Miglio, da molti ancora oggi invocato per dare un timone politico alla Lega Nord. E' bene, parlandone, averlo letto. Ho già proposto un'ampia bibliografia cui i più curiosi o interessati possono attingere per conoscere meglio quello che da più parti è da sempre considerato l'ideologo della Lega Nord dalla fondazione negli anni '80 del secolo scorso. Qui propongo il famoso Decalogo di Assago che delineava il prototipo di un'Italia federale e federalista, avente per perno le identità regionali. Con il senno di poi è curioso notare come in alcun modo fosse citata l'appartenenza all'allora Comunità Economica Europea e oggi Unione Europea. Buona lettura: ART 1 – L’Unione Italiana è la libera associazione della Repubblica Federale del Nord, della Repubblica Federale dell’Etruria e della Repubblica Federale del Sud. All’Unione aderiscono le attuali regioni

Contro la burocrazia, di Antonio Gramsci

Raccontano i giornali che un usciere del ministero della Pubblica istruzione fu arrestato perché aveva preso l’abitudine di far sparire dai tavoli degli impiegati le pratiche voluminose, per venderle come carta straccia e ricavarne qualche guadagno in questi tempi di caro-viveri e di carissima carta. Naturalmente egli avrà il destino di tutti i geni i compresi: sarà processato, condannato e perderà il posto. Eppure se la giustizia fosse, almeno essa, meno burocratizzata e meno fossile, quell’ignoto dovrebbe essere assolto ed esaltato. Perché lui, mentre da anni imperversano i lamenti contro la burocrazia, mentre si succedono studi e commissioni per la riforma delle amministrazioni pubbliche, mentre ogni ministro, che voglia passare per modernista e scroccare qualche approvazione alla stampa e alla pubblica opinione, si affretta a iniziare il suo governo con la solenne promessa di sburocratizzare, lasciandosi poi inevitabilmente travolgere dalla consuetudine, dagli ingranaggi dell